Bisogna ricordare che il Reddito di cittadinanza è stato pensato non solo come una forma di sostegno alle famiglie in difficoltà, ma anche come uno strumento di ricollocazione lavorativa. Da questo punto di vista, però, si è rivelato un completo fallimento.
Con la formazione del governo giallo-verde, il Movimento 5 Stelle è riuscito a realizzare uno dei più importanti cavalli di battaglia della sua campagna elettorale, il famoso – e tanto discusso – Reddito di cittadinanza.
Fin dalla prima proposizione, le polemiche che hanno circondato questa misura sono stati enormi. Il Reddito di cittadinanza appariva solo come uno spreco di denaro a favore di chi non aveva voglia di lavorare. Il partito grillino, ai tempi, provò a calmare gli animi, assicurando che la misura che intendeva attuare sarebbe andata ben oltre ad un semplice assegno di sostegno al reddito.
Che cosa avrebbe dovuto essere il Reddito di cittadinanza
Secondo i progetti, i percettori sarebbero stati seguiti in un percorso di riqualificazione lavorativa: in pratica i soldi del Reddito dovevano essere una misura temporanea, a disposizione di persone che nel frattempo avrebbero dovuto aggiornare le proprie competenze per rientrare nel mondo del lavoro.
A distanza di tre anni, nulla di tutto questo è avvenuto. Il Reddito di cittadinanza si è rivelato un progetto fallimentare che ha comportato solo un enorme spreco di denaro.
Ma per l’esattezza, che cosa non ha funzionato?
Perché il Reddito di cittadinanza non ha funzionato
A distanza di 3 anni, ben il 70% delle persone che hanno iniziato a percepire l’assegno continuano a riceverlo. In pratica, in un triennio, non c’è stato alcun cambiamento significativo nella loro situazione lavorativa.
E’ stato rilevato che la maggior parte dei percettori del Reddito sono persone che si sono rilevate altamente estranee ai requisiti richiesti dal mondo del lavoro. Per dirla in parole povere, queste persone avrebbero dovuto iniziare completamente da 0 un percorso di formazione lavorativa per poter essere idonee alle offerte lavorative che caratterizzano il mercato del lavoro italiano.
In 3 anni, si sarebbe anche potuto provvedere a organizzare dei corsi di orientamento al lavoro, ma, qui, entra in gioco un’altra delle cause che hanno determinato il fallimento di questa misura previdenziale.
La figura dei navigator
A dover seguire i percettori all’interno del loro percorso di ricerca di un nuovo lavoro, avrebbero dovuto essere i navigator. Si tratta di una figura professionale creata ad hoc, che si contraddistingue per l’alta professionalità e scolarizzazione delle figure. I navigatori sono tutti laureati – la media del voto di laurea si assesta intorno al 107 – a differenza della maggior parte degli altri dipendenti pubblici, che hanno al massimo il diploma, se non solo la licenza di terza media. Da come erano stati i presentati i navigator avrebbero dovuto essere una figura centrale, ma, nella realtà, si sono trovati a lavorare in casa d’altri, i Centri per l’impiego, e con pochi mezzi.
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Navigator, Centri per l’impiego e disorganizzazione
Molti navigator hanno iniziato con buoni propositi questa esperienza. Presto, però, si sono accorti che non sarebbe stato facile mettere all’opera le buone intenzioni. Queste figure si sono ritrovate senza mezzi – avevano a disposizione solo un tablet e nessun computer – e a svolgere un mero ruolo di supporto amministrativo, sostenendo dei colloqui conoscitivi insieme agli impiegati del Centro per l’impiego.
Non è stato organizzato nessun sistema informatico o database che permettesse di tracciare in modo unitario il percorso di ogni persona.
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Per questo motivo, non è nemmeno possibile tracciare chi ha trovato lavoro e come lo ha trovato. Pertanto, ogni azione dipendeva dall’iniziativa dei singoli Centri per l’impiego, che non si caratterizzano per iniziativa e sono soliti dare interpretazioni non uniformi alla normativa.
Infine, si deve segnalare i percettori del Reddito dipendono dall’INPS, in quanto è questo ente che eroga l’assegno, mentre i Centri per l’Impiego sono sottoposti alla giurisdizioni delle Regione. Non serve dire che tra i vari enti non c’è stata alcuna comunicazione che permettesse di applicare un sistema efficace e che portasse a dei risultati.