Dal momento della sua emanazione, avvenuta il 10 agosto 2017, il Decreto dei 24 cfu ha aggiunto un’ulteriore tappa nella strada dell’insegnamento, oltre che a creare un bel po’ di confusione nelle università.
Gli atenei sono stati colti piuttosto alla sorpresa da questa nuova misura, ed i mesi successivi all’emanazione della legge ha creato uno certo scompiglio nei vari dipartimenti. Molti studenti, soprattutto quelli in procinto alla laurea, volevano sapere come organizzarsi per poter conseguire questi 24 cfu che gli dessero l’opportunità di insegnare.
Dopo il caos iniziale, nel giro di qualche mese, le varie università sono riuscite ad organizzarsi per permettere agli studenti – e non solo – di aggiornarsi secondo le disposizioni ministeriali.
Il MIUR ha infatti disposto che, per ottenere l’abilitazione all’insegnamento, non bastasse il semplice titolo di studio, ma che si dovessero integrare i propri studi con degli esami aggiuntivi concentrati sull’insegnamento.
I 24 cfu non sono altro che 4 esami, in pedagogia, psicologia, antropologia e metodologie didattiche che permettono al futuro insegnante di approfondire degli aspetti riguardanti le tecniche di insegnamento ed apprendimento, che durante il normale percorso di studi sono piuttosto trascurati.
Infatti, nessun percorso di laurea prevede questa serie di esami aggiuntivi che si concentrano sulle modalità con cui andare ad insegnare la materia. L’unica eccezione è costituita dal corso di studi in Formazione, riservato agli aspiranti maestri delle scuole primarie. Per tutti gli altri, è stato creato il percorso dei 24 cfu.
Dato che i 4 esami sono stati voluti dal Miur, è chiaro come si tratti di un percorso di formazione obbligatorio. Senza l’attestazione di conseguimento dei 24 cfu, non è possibile iscriversi alle GPS, Graduatorie Provinciali Scolastiche, o ai Concorsi per l’Insegnamento.
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Pertanto, senza l’attestato entrare nel mondo dell’insegnamento diventa più difficoltoso e si deve ricorrere solo alle MAD, ossia le Messe a disposizione per le supplenze.
Nel 2017, appena fu indetto, si trattò di una bella doccia fredda, soprattutto per le persone che avevano già conseguito il titolo di studio, magari anche da svariati anni, e che svolgevano già la professione, ma da precari.
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Tutte queste persone si sono dovute affrettare per ottenere la certificazione in modo da continuare ad esercitare il loro mestiere, pagando ben 500 euro (125 euro per esame). Il percorso è a pagamento per tutti coloro che si sono già laureati, mentre gli studenti ancora iscritti all’Ateneo possono parteciparvi gratuitamente, pagando solo 16 euro di marca da bollo per l’iscrizione.
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