La guerra in Ucraina continua a portare frutti negativi soprattutto dal punto di vista economico. Gli investitori sono sempre più preoccupati, visto che si sta avvicinando la scadenza del pagamento di due titoli di stato.
Un vecchio adagio dice “le guerre costano”. E’ vero in tutti i sensi, è costoso farle ed alte sono le conseguenze che portano su tutti i settori dell’economia, anche quelli che non sembrano o non sono direttamente coinvolti.
Lo scoppio di una guerra è la spinta alla tessera di un domino che andrà a travolgere tutte le tessere seguenti: si tratta di una reazione a catena di cui si può prendere atto a livello quotidiano; un esempio su tutti è l’aumento del prezzo del petrolio.
Non sono solo i patrimoni degli oligarchi a risentire della crisi. Nel 2013, la Russia aveva iniziato a vendere due titoli sovrani in dollari. La scadenza per il pagamento è giunta lo scorso 16 marzo.
Data l’esplosiva situazione internazionale, rimane ancora un’incognita se il pagamento dei titoli di stato avverrà puntualmente o meno. C’è da precisare che c’è ancora il periodo di grazia di emergenza che da 30 giorni di tempo alla Russia per pagare il debito.
Di certo, appare evidente la difficoltà del Cremlino di pagare in dollari, quindi è molto probabile che il debito verrà assolto in rubli: già questo costituisce un elemento di default, che crea un grande senso di incertezza tra gli investitori.
Cosa vuol dire per gli investitori italiani
Se si guarda il fenomeno nella sua totalità, ammontano a circa 20 miliardi di dollari le obbligazioni russe che sono state acquistate da investitori stranieri. La cifra equivale a 39 miliardi di bond della Russia.
Per quanto riguarda gli investitori italiani, questi ultimi non sembrano gradire particolarmente i titoli obbligazionari russi o ucraini, soprattutto per quanto riguarda coloro che sono dotati di un reddito fisso.
Rispetto a tutta l’esposizione che l’Italia ha all’estero, il debito sovrano russo costituisce solo lo 0,16%: dei 796,6 miliardi di euro, la Russia pesa per un totale del 2,3%.
Per cui nonostante la poco piacevole prospettiva di vedere il proprio credito non pagato o ripagato in rubli – il che significherebbe comunque una perdita certa – l’eventualità colpirebbe solo di striscio gli investitori italiani, che non sono molto presenti su questo mercato.