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Non si arresta l’emorragia di marchi italiani venduti all’estero: l’ultimo pezzo di Made in Italy a finire in mani straniere è il marchio di moda Krizia, ceduto ad un gruppo cinese leader del mercato asiatico, la società di Shenzhen Marisfrolg Fashion co. La celebre casa di moda fondata sessanta anni fa da Mariuccia Mandelli è solo l’ultima di una serie di marchi del settore che è stata venduta all’estero: a fare shopping in Italia sono stati i francesi con Lvmh, che ha comprato Bulgari, Fendi, Emilio Pucci e Loro Piana, mentre Kering ha preso Pomellato e Richard Ginori. Ma anche gli arabi del Qatar hanno acquistato nomi prestigiosi come Valentino e Pal Zileri. La formalizzazione dell’accordo tra Krizia e l’azienda cinese è prevista per aprile 2014, come si evince dal comunicato congiunto diffuso: la prima collezione è prevista nel febbraio 2015, mentre nei prossimi cinque anni i piani di sviluppo prevedono l’apertura di negozi Krizia nelle principali città cinesi, ma anche europee e statunitensi.


Dopo la moda e l’enogastronomia tocca alle telecomunicazioni made in Italy finire nelle mani straniere. La notizia dell’accordo raggiunto dall’iberica Telefonica con Telecom rendono infatti la più grande azienda italiana del settore più spagnola che nostrana. I numeri dicono che i tre grandi soci Telecom Generali, Intesa e Mediobanca hanno modificato il patto relativo a Telco, la holding che controlla il 22,4% della società di telecomunicazioni italiana. Gli spagnoli detenevano già il 46%; ora la quota salirà a 66%, passando per due ricapitolarizzazioni al 70%. Il passaggio finale sarà il 100% della Telco con un controllo quasi a voce unica della Telecom.
Il primo passo dà dunque agli spagnoli di Telefonica la maggioranza di Telco in cambio di un versamento di 441 milioni di euro per due aumenti di capitale, a cui si aggiungono 425 milioni in azioni Telefonica: con 850 milioni Telecom parlerà sempre più spagnolo. Il raggiungimento della totale proprietà di Telco deve passare però per il Brasile: qui infatti Tim Brasil è stato il gioiellino della Telecom fino a diventare il secondo operatore del Paese. Telefonica però ha anche Vivo, la più importante società brasiliana e l’antitrust potrebbe bloccare l’operazione con un solo proprietario per i due più grandi gruppi.
Non va meglio per l’enograstronomia, fiore all’occhiello d’Italia. Un altro marchio storico del made in Italy è in mano straniere. Questa volta tocca ai cioccolatini Pernigotti: la società Fratelli Averna, che detiene il marchio dei golosi gianduiotti, ha infatto firmato un accordo con il gruppo della famiglia Toksov a cui cede l’azienda. L’azienda privata con sede a Istanbul è la maggior produttrice di nocciole al mondo: ha un fatturato annuo di 450 milioni e, nel settore dolciario, detiene la proprietà di altri marchi noti all’estero (Tadelle, Sarelle ). D’altro canto, la Pernigotti produce cioccolato, torroni e prodotti per il gelato e la pasticceria da 150 anni ed è un marchio leader a livello nazionale, ma negli ultimi tempi ha avuto molti riscontri positivi con aumento di richieste in altri mercati esteri come la Germania, Stati Uniti, America Latina e Cina. Nel comunicato ufficiale della cessione della proprietà, il gruppo Averna ha sottolineato come ci siano stati forti interessi da parte di molti operaratori nazionali ed esteri, assicurando che la cessione servirà a continuare “il processo di crescita intrapreso in Italia, in Turchia e negli altri mercati internazionali”.


Qualche dubbio sull’operazione è stato espresso dalla Coldiretti: la famiglia Toksov è il maggior produttore di nocciole al mondo e si teme “spostamento delle fonti di approvvigionamento della materia prima importante come le nocciole a danno dei coltivatori italiani e piemontesi che offrono un prodotto di più alti standard qualitativi”. La cessione della Pernigotti arriva a pochi giorni di distanza da un altro addio all’Italia da parte di un marchio storico. Loro Piana, leader nella lavorazione di cashemere e lana pregiata, il 9 luglio 2013 ha ceduto l’80% del capitale a LMVH, holding del lusso francese capitanata da Bernard Arnault (nella foto), per 2 miliardi di euro.
L’annuncio è arrivato dopo voci, all’inizio smentite dallo stesso Pierluigi Loro Piana, sull’interesse dei francesi: l’acquisizione è stata formalizzata con grande soddisfazione da entrambe le parti. La famiglia Loro Piana mantiene il 20% del capitale e il suo ruolo in azienda, mentre LMVH darà il suo contributo allo sviluppo del marchio. Per la holding del lusso si tratta dell’ennesimo acquisto di marchi italiani; per il made in Italy un altro colpo.
Da Loro Piana hanno assicurato che il “marchio ne trarrà beneficio da sinergie eccezionali, sempre preservandone le tradizioni”, come hanno dichiarato i patron dell’azienda Sergio e Pier Luigi Loro Piana. Per Arnault è stata decisiva la condivisione degli “stessi valori, sia familiari che aziendali, la ricerca permanente della qualità. Sono convinto che il nostro gruppo possa apportare un forte contributo al futuro della Loro Piana che possiede grandi potenzialità”. LVMH ha già fatto campagna acquisti nel settore del lusso italiano, acquisendo tra gli altri Bulgari, Fendi e Pucci. Sempre dalla Francia, l’altra holding Kering-Ppr, della famiglia Pinault, ha rilevato Gucci, Brioni e Pomellato, mentre Valentino e il Valentino Fashion Group (che comprende anche la licenza per il marchio M Missoni), è passato alla Mayhoola for Investment, società del Qatar riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani.
L’allarme è stato lanciato dal presidente della Coldiretti, Sergio Marini, all’inaugurazione della Fieragricola di Verona: i marchi italiani venduti agli stranieri generano un giro d’affari di 10 miliardi l’anno che non transitano per l’Italia. Il fascino e i sapori unici del made in Italy hanno sempre mantenuto altissima l’attrattiva per gli stranieri che hanno trovato vie per entrare direttamente nel mercato. Prima della crisi si compravano materie prime all’estero per fare prodotti italiani, ora si è passati direttamente a comprare le aziende. “Lo scaffale del Made in Italy che non c’è più”: sono le parole usate da Marini per descrivere la situazione ed è difficile dargli torto.
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